The Island of the Day Before

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Quest’estate (2011 n.d.r.), nella prestigiosa cornice della rotonda del Guggenheim Museum a New York, Archiprix International ha premiato una tesi di laurea italiana. Una tesi di laurea coraggiosa, insolita per il panorama accademico del nostro paese, discussa nel 2008 presso la facoltà di architettura di Genova da Maurizio Pizzocro, Veronica Rusca e Lorenzo Trompetto, relatore il professor Giovanni Galli. Il progetto in questione si pone come obiettivo di rappresentare, estremizzandole, le principali caratteristiche dell’architettura contemporanea e di fare ciò attraverso il progetto utopico di un’isola artificiale. Si tratta quindi di una riflessione sui mezzi propri della disciplina e sui cambiamenti introdotti in essa dall’affermarsi della società dei consumi e della comunicazione di massa. Da qui il titolo “You Are Here”, allusione al salvifico bollino rosso che ci permette di trovare noi stessi all’interno di una mappa turistica e insieme omaggio a Jon Jerde, architetto dei più grandi e “spericolati” mall americani1. Il centro commerciale riveste, appunto, un ruolo centrale nel progetto come nella ricerca, poiché in esso viene individuata l’invenzione tipologica essenziale dell’architettura contemporanea che partendo dal paradigma del mall extraurbano – perfettamente descritto dalla ricetta di Victor Gruen2 – si declina poi all’interno di tutte le strutture che la società dei consumi ha inventato per coinvolgere le masse all’interno dei suoi circuiti: aeroporti, musei, complessi sportivi, centri fieristici e per il divertimento.

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Didascalicamente, il progetto presenta un mall lineare che contiene anche le infrastrutture di movimento, disposto secondo un anello chiuso, sospeso a una certa altezza da terra. Questo spazio isotropo commerciale costituisce di fatto lo spazio pubblico della città (le sue strade) e cerca una sintesi tra le piante dei progetti teorici di Archizoom e il rapporto con il paesaggio delle visioni di Superstudio, riconoscendo nelle ricerche dell’architettura radicale italiana degli anni settanta un punto di partenza ancora oggi valido: raramente in seguito si è raggiunta la stessa capacità di cristallizzare in immagini dalla grande forza comunicativa le sfide e le contraddizioni che i cambiamenti tecnologici e sociali impongono all’architettura. Come la ricerca teorica degli anni settanta ha fornito un bagaglio di riflessioni e un immaginario di cui poi si è servita l’architettura “euforica” degli anni ottanta – negli anni ruggenti del neoliberismo, fino alla “star architecture” degli anni zero – così il mall lineare e post iconico “tocca terra”, deformandosi in una serie di “piedi”, tipici edifici-icone contemporanei: un museo, uno stadio, un aeroporto, una torre delle telecomunicazioni, un terminal crociere, una fiera, una multisala cinematografica, ecc. Questi edifici sostituiscono le piazze, in questa strana città del futuro presente, e non è un caso che essi ospitino i luoghi di produzione e di diffusione dei mezzi di comunicazione di massa: l’architettura non è più il principale luogo d’incontro tra le persone, è un mass medium come tutti gli altri e perciò è più efficace quanto più si contamina ed entra in sinergia con gli altri strumenti del comunicare, come previsto da Marshall McLuhan nel suo “Understanding Media”3.

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Sotto alla grande infrastruttura commerciale/mediatica, si distende un pattern d’insediamenti residenziali che ripropongono alcune utopie non realizzate del novecento, svuotate di tutta la loro carica ideologica e utilizzate come semplici forme che generano paesaggi. La scelta delle utopie, che spaziano dal Plan Voisin di Le Corbusier alla Grosstadt di Ludwig Hilberseimer, dalla Magnitogorsk di Ivan Leonidov alla Dymaxion House di Richard Buckminster Fuller, sono state scelte tutte antecedenti al 1973, anno di pubblicazione di “Progetto e Utopia”4, in cui un giovane Manfredo Tafuri cambiava definitivamente il modo di considerare l’utopia architettonica leggendola come uno slancio in avanti necessario al mercato per generare nuove aspettative e nuovi desideri nel consumatore, nuovi scenari tecnologici. L’utopia, quindi, come paradigma di un’architettura che mette a sistema la volontà di lavorare per le masse, la ricerca di un efficace impatto comunicativo e l’utilità d’inserirsi nei più avanzati meccanismi produttivi della società dei consumi. Non è un caso se per molta architettura di “griffe” realizzata ai giorni nostri, ma – mutatis mutandis – anche per l’International Style, si sia potuto parlare di utopie realizzate (certamente, anche tradite).

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Alla luce di tutto ciò, sembra ineccepibile che questa isola di utopie (o distopie?) fornisca i consumatori per il gigantesco mall lineare che le si sovrappone ed allo stesso tempo la tenga unita, informi e dia forma alla comunità dei suoi fruitori, costituisca il loro punto di contatto e di reciproca necessità. Una impietosa allegoria del presente che paga un debito importante al disincanto di Guy Debord ed al cinismo di Rem Koolhaas, ma che tuttavia cerca il possibile riscatto nella scelta di una rappresentazione “positiva”, che si ispira a un immaginario degli anni ’50 del novecento. Un omaggio a Gruen, certamente, a Buckminster Fuller, agli Eames e a tutta quella scena dell’architettura americana che vedeva il prossimo futuro come una grande occasione di miglioramento e di progresso.

Il pessimismo della critica, l’ottimismo della progettazione.

 

Note:
1 Francis Anderton, “You are here, The Jerde Partnership International”, 2004.
2 “Prendete quaranta acri di terreno di ideale conformazione pianeggiante. Disponete intorno 500.000 consumatori che non abbiano accesso a nessun altra struttura commerciale. Preparate il terreno e coprite la parte centrale con 90.000 metri quadrati di edifici. Riempiteli di negozi che vendano articoli di alto livello ad allettanti prezzi bassi. Sistemate tutto l’esterno con 10.000 posti auto e ricordatevi di renderli accessibili da tutte le direzioni dalle strade di grande scorrimento. Terminate decorando con qualche pianta in vaso, aiuole fiorite, una piccola scultura e servite caldissimo al consumatore” (trad. it. da Warren Techentin, “Shopping mall: storia di un malessere”, Lotus International 118).
3 Marshall McLuhan, “Understanding Media: The Extensions of Man”, 1964.
4 Manfredo Tafuri, “Progetto e Utopia”, 1973

Originally written for Arch’it (unpublished). 2011.